Anonimo Vs ISIS Quello che ancora non sappiamo

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InShortViral: Nella battaglia contro il califfato virtuale, l’hacktivist può tirare fuori un’altra arma ironica.

[dropcap]T[/dropcap]Il web è un vero e proprio campo minato, ben consapevoli dei cyber-attivisti di Anonymous, che ogni giorno, nei meandri della rete, combattendo i terroristi e oscurando Isis irrompono i loro profili social. “Nella battaglia contro il califfato virtuale, l’hacktivist può tirare fuori un’arma in più ironia”

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Ma la missione della comunità virtuale più temuta dai jihadisti non è ancora chiara alla maggior parte dei marinai. Matthew Flora, esperto di sicurezza e fondatore di The Fool, una società con sede in Francia (Parigi) specializzata nella protezione della reputazione digitale, i segreti della guerra online tra Anonymous e il califfato sono subito sotto.

Anonimo Vs ISIS Quello che ancora non sappiamo

Chi non mastica computer tutti i giorni si chiede perché i militanti Isis preferiscono usare Twitter piuttosto che Facebook per diffondere il terrore sul web, tutta questa domanda si pone sempre.

Non c’è dubbio che Twitter sia di gran lunga la piattaforma social preferita dai terroristi, ma questo fenomeno deve essere contestualizzato per evitare il sensazionalismo che vede brulicare di sostenitori l’immagine mentale di molte piattaforme come Twitter.

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Un recente studio di The Brookings Project sulle relazioni degli Stati Uniti con il mondo islamico, intitolato The Isis Twitter Census, mostra meno di 50.000 account presenti sulle piattaforme, con meno di 1.000 molto attivi. Un numero sicuramente alto, ma vicino a un numero di utenti che commentano un programma televisivo in prima serata e molto probabilmente anche “moltiplicato” l’uso massiccio di tweet automatici.

Perché Twitter? Principalmente per tre motivi:

Innanzitutto la mancanza dell’obbligo per gli utenti di registrarsi con una policy di ‘vero nome’ come Facebook, che per la fornitura di corrette informazioni sulla propria persona, vale la cancellazione del proprio account.

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In secondo luogo, grazie a Twitter è molto più semplice automatizzare i processi di gestione ‘centralizzati’ di decine se non centinaia o migliaia di profili contemporaneamente.

Terzo ma certamente non meno importante fattore è il fatto che tutti i contenuti pubblicati su Twitter diventano automaticamente visibili a chiunque effettui una semplice ricerca fornendo un sistema di diffusione e diffusione delle informazioni più efficiente, non legato all’obbligo di registrazione in una piattaforma e indicizzabile e facilmente gestibile.

Nonostante l’obiettivo dichiarato di contrastare l’ascesa di al-Baghdadi, Anonymous non è disapprovato dai governi. C’è il rischio che, una volta terminata la missione anti-Isis, gli attivisti strumentalizzino il brand per svolgere le loro operazioni segrete, spesso al limite della legalità?

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Anonymous è un’identità collettiva e decentralizzata, composta da un gran numero di attivisti molto diversi tra loro solo occasionalmente e principalmente legati al brand limitato a determinate missioni.

Il fatto che i poteri e le risorse che verranno utilizzati in questi giorni possano essere utilizzati in futuro dipende non tanto dallo stesso Anonymous, ma dagli individui che lo compongono. Certo è che alcune operazioni rischiano di procurare danni davvero gravi anche alle operazioni di intelligence straniera: non dimentichiamo che dietro alcuni profili sui social Daesh o ISIS si nasconde sicuramente l’intelligence e che molti dei profili attivi sono probabilmente tollerati solo alle informazioni che offrono ancora una volta all’antiterrorismo operativo di tutto il mondo.

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Chiudere o chiudere questi account significa impattare in una fittissima rete di contatti che l’intelligence può aver costruito sui social e soprattutto perdere media estremamente interessanti, forse fondamentali, per il controllo e l’analisi del processo. Certamente è una questione aperta e di non facile soluzione.